[Riflessione] Lo scrittore è come un calciatore?

Chi come me frequenta un certo angolo di internet, quello che si trova oltre tre stelle a sinistra e perdersi nella Via Lattea, è a contatto con diverse tipologie di personaggi. Per me la rete è ancora fatta di avatar, alterego virtuali e poco mi adatto alla visione moderna, quella in cui sono le persone a vivere su internet, sui social media e diavolerie moderne di simile entità.
Facevo parte della vecchia cricca di rivoluzionari, quelli che bruciavano le copie del fantasy italiano e inneggiavano ai nuovi idoli. Il tempo è passato, i nuovi dei sono caduti e noi siamo rimasti qui, con un palmo di naso.

Però siamo anche cresciuti. Alcuni dei miei inconsapevoli compagni di scorrerie hanno messo la testa a posto e, a conti fatti, hanno realizzato davvero qualcosa di buono: Marco Carrara è il direttore editoriale di una collana di letteratura di genere per Antonio Tombolini Editore, Vaporteppa, di cui sicuramente avete già sentito parlare se siete arrivati fin qua.
Gabriele Compagnano, che tutti ci ricordiamo come Zweilawyer, scrive della nostra storia ed espande le nostre menti verso quello che, alla fine, tutti ricordiamo come spade e scudi.

La lotta è finita?
Probabilmente no. La lotta è diventata ciò che doveva diventare: segue le vie tradizionali della pubblicazione, quei solchi tracciati dagli adulti che ci stavano tanto stretti quando volevamo bruciare Chrome. Io ho smesso di scimmiottare i400calci, che tanto non sarò mai hardcore come loro e ho trovato una coscienza euristica tutta mia.

Cosa c'entra questo però con l'interrogativo del titolo?
Ci arriviamo. In uno dei forum che tuttora frequento è stata data la lieta novella: un esordiente è stato accolto in grembo di Madre Mondadori. Questo ha generato molto entusiasmo alla corte di Francia, com'era ovvio succedesse. Invidia? Forse. Speranza? Sicuramente.
Non ha rallegrato però me. Non tanto per il fatto in sé, ma la reazione della comunità mi ha spinta a riflettere molto bene su quello che stavo leggendo; è la normalità per un aspirante scrittore dover pregare che qualcuno si accorga di lui? Essere così schiacciati dalle regole editoriali, dalla "botta di culo", dalla speranza che qualcuno lo noti per onorarlo della pubblicazione?

Non è una reazione singolare o poco abituale.
D'accordo, erano quasi dieci anni fa. La situazione, tuttavia, è davvero cambiata?
Per il momento, il vincitore del Premio Urania deve accontentarsi di godere della massima visibilità concessa dal genere e di piazzare una decina di migliaia di copie. Numeri che lo rendono, se non un bestseller, almeno un “goodseller“. Può esserne soddisfatto? Io lo sono stato, senza riserve
Torniamo alla domanda iniziale: è lecito dire che un aspirante scrittore sia paragonabile a un bambino che sogna di entrare nella nazionale di calcio?Dopo aver letto scrittori, definiti tali, affermare che la scrittura non sia un'arte, non più almeno, non mi metterò a disquisire sul fatto che "il calciatore che con la sua performance suscita un'emozione" sia un'arte o meno.Anche tenendoli su piani ipoteticamente separati, no, per me non è un paragone calzante.


2017: gli italiani non sognano pecore elettriche, solo altre notti magiche.

Citerò l'intervento:
Insomma, in finale mi è stato chiesto se, a mio avviso e per la mia esperienza, fosse possibile che un'esordiente sconosciuto arrivasse a rifiutare una proposta di pubblicazione da parte di Mondadori. Risposta: Secondo me no. 
Primo perché, credetemi, non c'è nessun lupo cattivo travestito da nonnina pronto a divorare la vostra dignità o sensibilità da autore, ma anzi, finora mi sono relazionato su tutti i livelli con ragazzi giovani, cortesi e disponibili. 
Secondo perché continuo a non capire per quale motivo dovrei mandare un manoscritto a una casa editrice e poi rifiutare una sua proposta per ragioni "etiche" - mi sembra la storia del pescatore che si lamenta di non riuscire a prendere neanche un'orata mentre sta pescando in riva a un fiume e continua a rigettare trote in acqua. Terzo perché onestamente parlando forse ci sopravvalutiamo. Sembra quasi che i nostri testi contengano chissà quale grande scomoda verità-che-non-può-essere-rivelata, e che ai piani del potere questo faccia storcere più di una bocca. 
Quindi non ci pubblicano, oppure se ci pubblicano dilaniano il nostro testo. Ragazzi, a una casa editrice seria costa molto di più fare un editing dilaniante che acquistare un libro quasi pronto. Davvero. Quarto perché... ma sul serio? Cioè io posso capire che alcune politiche di una casa editrice possano perniciosamente stare sui coglioni. Può valere per Segrate così come per Feltrinelli o per Minimum Fax o per Giunti o Longanesi, però davvero, mi riesce difficile capire la dinamica di un simile rifiuto. 
Mi viene in mente l'immagine di un ragazzino della provincia di bergamo che sogna di diventare Cristiano Ronaldo. Mamma ascolta, ho capito cosa voglio fare nella vita: il calciatore. Guarda, mi ha chiamato lo sceicco Abu Bla Bla Ficuz per giocare al Paris Saint Germain. Eh ma va a finire che farò la riserva, figurati. Oppure mi chiederanno di diventare musulmano. Capirai. L'ho già vista questa storia, me l'ha detto un amico di un mio amico che l'ha sentita da suo cognato che una volta ha incontrato un tale allo stadio, il quale conosceva uno che ha fatto un provino al Paris Saint Germain. E poi quelli hanno Thiago Motta oh. Cioè, Thiago Motta, hai presente? Quello che ci ha fatto perdere l'europeo. Sì. Poi mi hanno fatto parlare col vice allenatore della squadra. E li già mi sono insospettito: perché col vice? Comunque, questo tizio mi ha detto che secondo lui sono bravo ma che dovrei correggere un po' di cose, nulla su cui non si possa lavorare insieme. Felice? No, macché. Penso che in realtà sia una strategia: vogliono solo fregarmi. Anzi. Andrà a finire che mi chiederanno di contribuire al mio stipendio; ho sentito dire che c'è crisi anche negli Emirati Arabi ultimamente. Sai cosa, mamma? Penso che rifiuterò e continuerò a giocare a battimuro. Sì, giù ai campetti sterrati, hai presente?, quelli alle spalle della stazione Cisano-Caprino Bergamasco? Sì, lì. C'è la nebbia d'inverno, ma se usiamo la palla rossa riusciamo ancora a vedere. Ma sì dai, vedrai, prima o poi mi noteranno all'Aurora Pro Patria, sperando che la nebbia si diradi. Tanto il successo non lo raggiungo comunque, ma almeno sarò libero di essere me stesso.
Perché non sono d'accordo?
Semplice, perché un calciatore nel mondo del calcio secondo me non ha lo stesso peso di uno scrittore nell'ambito dell'editoria. Il calciatore che mira alla serie A deve possedere doti fisiche eccezionali, probabilmente buona tecnica affinata nel tempo e deve dimostrare coi fatti che si merita la maglia che ha preso. Fin qui, tutto simile, no? Certo.

Lo scrittore che punta alle case editrici maggiori deve avere talento, deve avere uno stile consolidato nel tempo e deve dimostrare, con le vendite, che vale la pena tenerlo in scuderia.
Le case editrici sono aziende, non enti di beneficenza. Se non vendi, non ha senso tenerti nell'azienda. Funziona così ed è giusto che funzioni così. Però è qui che io vedo la grossa crepa, l'enorme differenza tra un calciatore e uno scrittore.

A un calciatore, per rimanere dove sta, "basta" essere bravo. Fare goal. Fornire i giusti assist, coprire la sua fascia con efficacia.
A uno scrittore, per rimanere dove sta, deve andare bene che, oltre ad aver prodotto un buon libro, questo venda.

Non penso che sia la stessa cosa. Lo sarebbe se il destino della maglia di un calciatore fosse appesa al filo di un televoto come quello che sancisce il destino dei partecipanti a un reality, ma non è così.
Un calciatore ottiene fama, gloria e salario in base alle sue capacità e alla sua competenze, uno scrittore no. È sottoposto al giudizio del pubblico e non solo a quello: deve rispondere anche a regole di marketing. Se il libro non è conosciuto, può non essere comprato per questo ed è, in fondo, la grande croce di media e piccola editoria.

Ha senso quindi che un calciatore rinunci a una squadra perché c'è stato qualche scandalo che ha coinvolto il Dirigente Sportivo qualche anno fa o perché c'è stato un episodio di doping? Direi di no. Perché dovrebbe pensare che il Milan stia rovinando il calcio o scegliere di vestire i colori del Chievo, invece, migliorerebbe l'ambiente calcio?
Non ha alcun senso. Uno scrittore, invece, scegliendo con quale casa editrice pubblicare può avere un peso, può cambiare come sia l'editoria nel nostro paese? Probabilmente è un discorso utopico. Però, secondo me, .

Non tutti possono aver scritto capolavori e sicuramente le grosse case editrici non hanno bisogno dei "capolavori" degli esordienti italiani; del resto esistono i classici e gli stranieri. L'autore di quel frammento ha ragione quando dice che i testi che arrivano devono essere nella forma migliore possibile, che un editing pesante non conviene a nessuno.
Eppure.

"The Muse Urania" di Johann Heinrich Tischbein

Vittorio Catani scriveva:
Purtroppo mi pare che siamo alla classica lamentela inutile, o fatta per far baccano: si sta parlando di come si vorrebbe qualcosa senza sapere se il qualcosa è fattibile e come, quando e dove e perché. Parlare genericamente è molto, troppo facile. In questo siamo tutti maestri. Ma se qualcosa non va, occorre “fare”. 
Chi sa fare sa comandare 
Nessuno vi obbliga ad acquistare Urania & annessi: siate coerenti.
E uno scrittore - o aspirante tale - che voglia essere coerente, che deve fare invece? Invia o non invia a una casa editrice che ha questa politica? Di certo, non fa un danno a Mondadori.
Il colosso ha una scuderia che vanta autori vivi e morti, un esercito di persone che sicuramente scrive meglio di me. E di te. E di centinaia di scribacchini là fuori.

C'è una morale? Non lo so.
Forse la morale è che per molti non importa che maglia indossi.
Solo se fai goal.

Steamdoll Returns

«Fail Again. Fail better.»

Molti di quelli che capiteranno di qui avranno un solo pensiero... che diavolo è un blog?
Sono passati diversi anni da quando questo spazio fu aperto.

Anni che nessuno ci ridarà.
Quando il web era giovane lo eravamo anche noi: belle speranze, grandi aspettative. Emergevano misteriosi e carismatici personaggi, pronti a guidarci nella rivoluzione del nostro tempo: con il dominio della rete, tutto sembrava possibile. Alcuni di questi giganti sono ancora sostenuti da un vento arido, altri sono naufragati nella deriva desertica.

I miti sono crollati, non è rimasta che polvere. In cambio abbiamo avuto i social network, ma... è difficile adeguarsi per chi ha ruote troppo arrugginite per girare al forte soffio della comunicazione globale.
Che senso ha ricominciare da capo nell'estate del 2017?

Le parole di Samuel Beckett sono diventate la mia filosofia di vita. Dove abbiamo fallito ricominciamo. La giovinezza, si diceva.
Gli idoli cadono, smettiamo di seguire la scia e diventiamo grandi. Il mondo, però, non diventa mai grande con noi. Eppure dopo diversi anni riscopri di aver ancora qualcosa da dire, in modo meno derivativo, in modo meno interessato.

Non ti curi più del numero di visite, sei troppo stanca per credere davvero che esista un modo facile per cambiare radicalmente le cose. Il fuoco si spegne in carcasse ammaccate, alzi lo sguardo dalla desolazione polverosa che si è depositata intorno a te. Sottile, invisibile e soffocante.
Oltre le apparenze, il mondo che volevamo cambiare è ancora lì.
L'editoria non è migliorata, la letteratura italiana non è cambiata e tutto è difficile come lo era dieci anni fa. Anzi, lo è anche di più.

Noi no. Noi non siamo gli stessi.
Disillusi, in parte. Arresi? Mai.
Quindi, torniamo a parlare di cose serie. Torniamo a scrivercele da soli, come un messaggio lasciato in una bottiglia che naviga in un mare virtuale infinito, dove forse verrà raccolta, forse no. Non è questo l'importante.

Non è la visibilità.
Non è la rivoluzione.
È l'idea, la possibilità.

E quindi... di cosa parla questo blog?
Di libri. Di giochi. Di film. Di tutto quello che può piacere a una desueta bambola meccanica.

Lasciamo parlare il mondo, io ne sono solo portavoce.

Barbossa: Il mondo era un tempo un posto più grande. 
Jack: Il mondo è sempre uguale, è il resto che è più piccolo.